Intervista pubblicata su Paratissima, “Meet The ARTist”, 27 maggio 2020: https://paratissima.it/meet-the-artist-ketra/
Tra borchie, feticismo e opere dal mood underground, Elena Pizzato (in arte Ketra) ci racconta il suo animo gotico e la sua passione per l’esoterismo: perché l’atto di specchiarsi non sempre vuol dire solo riconoscersi.
Le tue coordinate, anagrafiche e geografiche.
Mi chiamo Elena Pizzato e mi firmo Ketra per la mia passione per l’esoterismo. Ketra è l’arcano maggiore XXI e rappresenta il mondo. I suoi significati sono positivi, è associato al compimento di un’impresa, alla conclusione felice di un ciclo di esistenza o di un progetto e alla dimensione del viaggio. Lo porto con me sin dall’inizio del mio percorso artistico, è il mio daimon.
Sono nata nella cittadina di Bassano del Grappa, in provincia di Vicenza, esattamente alle ore 17 dell’ultimo giorno del primo mese del 1979. Da anni vivo a Castelfranco Veneto, nel Trevigiano, mi sento bassanese d’anima e castellana d’adozione.
Definiresti il tuo percorso formativo lineare o atipico?
L’arte ha avuto, e tuttora ha, un suo posto nella mia famiglia. Ci sono nata e cresciuta grazie alla mamma pittrice e al papà fotocompositore, la sensibilità e la passione per la creatività in tutte le sue declinazioni è nel nostro dna. L’Accademia di Belle Arti di Venezia ha sigillato ufficialmente questo legame. Nella mia vita dunque il filo rosso dell’arte alla fine si è sempre dipanato in maniera costante.
Ogni artista si differenzia per uno stile particolare, dato da una sommatoria di fattori differenti. La tua ricerca predilige un mezzo espressivo o una tecnica in particolare? Nelle tue opere vi è qualcosa di inevitabilmente ricorrente, a livello di soggetto o messaggio? Quali sono i tratti distintivi della tua ricerca?
Adoro sperimentare materiali diversi, in particolar modo lavorare con i tessuti. Ce ne sono moltissime varietà, ognuna col suo carattere e potere attrattivo, sia a livello visivo che tattile. Delle borchie, poi, non posso farne a meno: hanno quell’allure punk che rende tutto più accattivante. Nella mia ricerca il leitmotiv è il mondo femminile nella sua accezione dominante e combattiva, una sorta di “girlpower”, non senza però le sue note noir. Ma non è un mio diktat, è una sensazione che arriva dalla fruizione dell’opera compiuta.
Le tue fonti di ispirazione. Da dove scaturiscono le idee di nuovi progetti o lavori? Attualità, letture, circostanze casuali oppure ossessioni personali?
L’ispirazione è dietro l’angolo, ti fa le imboscate. E’ come un flash, da quell’attimo unisci più cose e dettagli contemporaneamente ed ecco l’opera come sarà. E’ un’alchimia di più suggestioni ed esperienze vissute, incluse fobie e ossessioni naturalmente. Anche i viaggi hanno la loro influenza: ti aprono la mente, scoprire nuovi modi di vivere e scorci di mondo, meraviglie che non avresti mai immaginato, ti scuote l’anima e ti spinge a vedere oltre. Rimango però convinta di una cosa: nulla si improvvisa, la conoscenza e lo studio di ogni fenomeno artistico, dai classici agli happening attuali, è necessario per dare profondità e autenticità alla propria poetica.
Il primo amore non si scorda mai. Qual è l’opera o l’artista che in qualche modo ha lasciato un segno nel tuo percorso?
Il primo artista che mi ha colpito è stato Enrico Castellani e le sue raffinate estroflessioni. Con il solo il telaio e dei chiodi crea la magia. Geometrie perfette in tensione, una geniale intuizione. E poi le installazioni di Monica Bonvicini, potenti.
Il rapporto/confronto tra artista emergente e curatore: lo definiresti necessario, occasionale o superfluo?
Il rapporto col curatore è essenziale per avere lo “scontro” con la realtà. Il parere del critico o curatore professionista è un passaggio obbligatorio se si vuole entrare ufficialmente nell’arena dell’arte. L’artista crea, il curatore traghetta il pubblico verso il suo mondo. E’ un lavoro molto difficile, ci deve essere empatia, o meglio “affinità elettiva”, altrimenti diventa mera operazione economica.
Stai lavorando a qualche progetto futuro in particolare? Una mostra o una serie di opere nuove?
In questo periodo sto lavorando al progetto “La Sala degli Specchi”, è una serie di opere in work in progress composta da specchi e specchiere che “riflettono” il mio studio attorno ai concetti di femminilità, identità pubblica e privata tra favola e realtà contemporanea. Gli specchi mi affascinano, perché rappresentano oggetti che racchiudono molteplici storie di vita, hanno riflesso chissà quanti volti e situazioni che noi non potremo mai conoscere, custodiscono misteri. Alle pagine di questi “misteriosi libri” io non faccio che aggiungere le mie storie, a volte favolistiche, a volte ispirate a fatti reali.
Se un giovane ti chiedesse un consiglio su cosa è indispensabile per un artista agli esordi?
Partecipare alle fiere di settore e ai concorsi ufficiali per mostrare il proprio lavoro è fondamentale. Decisiva è poi l’umiltà nell’approcciarsi agli attori del sistema artistico. Prepararsi alle critiche è un passo obbligato, ma a forza di lottare ognuno riuscirà a trovare il proprio pubblico.
La prima opera d’arte venduta segna una svolta, attesta il passaggio da un livello di produzione privato e personale a una dimensione professionale. Che ricordi hai in merito? A parte la mera transazione economica, tra artista e collezionista normalmente si crea un rapporto elettivo di scambio reciproco?
La mia prima opera l’ho venduta per merito di un incontro casuale con un gallerista che, incuriosito dall’opera esposta a una mostra collettiva a cui partecipavo, mi ha contattato. E’ stata una grande soddisfazione, in quel momento non ho pensato affatto al guadagno, è stata pura emozione, è una piccola grande conquista che ti motiva a continuare. Il rapporto che si crea è speciale, è una connessione mentale che va oltre la parola, è fatta di sensazioni.
Tre hashtag indispensabili per definire la tua poetica e a cui non potresti mai rinunciare…
#darkside #gothicfairytale #girlpower